Sóley Mother Melancholia (Morr Music, 2021)

Sospirate e spettrali melancolie islandesi

4 Novembre 2021

Sóley Stefánsdóttir, come si evince dal patronimico dóttir, è una musicista, cantante e polistrumentista islandese originaria di Hafnarfjörður, cittadina portuale situata sulla costa sudoccidentale, a circa dieci chilometri a sud di Reykjavík. Inizia a dedicarsi alla musica ancora teenager, studia piano e composizione alla Icelandic Art Academy nel 2007, mentre fa contemporaneamente parte dei gruppi pop-folk Seabear e Sin Fang. Dopo tale gavetta fisiologicamente necessaria e spesso comune a moltissimi musicisti islandesi (e non solo), Sóley sente l’esigenza di svincolarsi dai propri compagni d’avventura. Il 2010 è l’anno del grande passo verso la carriera solista, vede la pubblicazione dell’ep Theater Island e successivamente del vero debutto We sink, entrando così meritevolmente nel combo dell’etichetta indipendente tedesca Morr Music. L’attività solista si dimostra perfettamente congeniale, mettendo in luce le caratteristiche distintive della musicista islandese: un’elettronica minimale fatta di glitch, field recordings, affiancata da una voce delicata e a tratti fanciullesca (con testi in inglese), che fino a pochi anni prima non si considerava nemmeno come una "voce cantante" a suo stesso dire. Accompagnata dal pianoforte (spina dorsale ed essenza di tutte le sue composizioni) e da svariati altri strumenti acustici, quali  batteria, armonium, fisarmonica, chitarra, e da un lirismo dal sapore pop-folk, diviene un ennesimo tassello d’Islanda, che si aggiunge agli innumerevoli artisti già presenti sul suolo insulare. Con Ask the deep del 2015 Sóley mette in primo piano quella che risulta essere la sua vera indole, che da malinconica vira verso territori sempre più oscuri ed interiori. Paesaggi sonori fiabeschi, popolati da spettri sia reali che immaginari, un sottobosco abitato da strane creature e streghe da un occhio solo. Con Endless summer del 2017 si accinge invece ad esplorare gli angoli più assolati e ottimisti del suo songwriting, una sorta di ritrovata primavera dopo l’inverno dark del precedente album.

Soley

Mother Melancholia, uscito lo scorso 22 ottobre, è per la Stefánsdóttir un ritorno alle atmosfere oscure a lei più familiari, forse ispirata dalle sensazioni plumbee del suo progetto Harmóník I & II uscito esattamente un anno fa solamente in vinile limited edition. L’eclettismo e la capacità di destreggiarsi tra generi differenti, di questo particolarissimo lavoro si riversano nel progetto appena uscito, dove troviamo una maggiore propensione all’introspezione, al minimalismo e a strutture musicali scheletriche e scarnificate. La voce si fa lenta, sospirata, malinconica, flebile ma allo stesso tempo echeggiante, accompagnatrice di note cadenzate e appena accennate di pianoforte su un finale di archi stranianti e destabilizzanti fino a divenire distorti (Sunrise Skulls).

Nell’intro di Circles si odono lamenti sinistri in lontananza, ad avvolgere il timbro sospeso e quasi spezzato di Sóley, in questa traccia dal lirismo atemporale, dove organo, piano e violoncello, cristallizzano il tutto in una polvere impalpabile.

E’ un insolito uso della vocalità rispetto ai lavori precedenti  a caratterizzare le tracce di Mother Melancholia: sussurrata, dannatamente "silenziosa", è la voce come dice l’autrice stessa, di una Madre sola nel suo soggiorno, intenta a suonare il pianoforte, a volte ululante e a tratti isterica. «Lei è», solamente lei, e nulla al mondo può portarle via questo. Una coltre caliginosa, avvolge pesantemente risonanze ultra(terrene) ed entomologiche nell'ambient tetro di "Parasite", mentre lascia spazio all’andamento sincopato di beat, synth e agli arpeggi deformati nella successiva Desert. Bruma che poi si dirada completamente, un piccolo raggio di luce crepuscolare si intravede, lieve tepore in grado di scaldare e avvolgere setosamente animi sensibili (In heaven). Ma anche archi ondeggianti, rincorsi da un pianoforte neo-gotico, l’affievolirsi del canto, nella Soap&Skin(iana) "Sundown" dedicata alla Madre Terra, martoriata dallo sfruttamento e dall’avidità umana .

away back mother

you told me to honour the earth

but every day

i dig my own grave

and as i dive in you’ll

hold my hand

Un armonium di stampo Eluvium chiude come un requiem artico un album forse lievemente atipico per la musicista islandese, più sperimentale dei precedenti, sonico, e per certi aspetti (basti guardare l’immagine in copertina) addirittura funereo. Un lavoro che, come precisa la stessa autrice nei credits ha anche un intento "sociale" e comunicativo in quanto ispirato al «suicidio di massa dell'umanità e alla distruzione della vita guidata dal capitalismo e dalla mascolinità tossica». Prova di una maturità ricercata, conquistata e ovviamente dovuta.

 
 

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