The Black Veils - Carnage (Icy Cold Records, 2021)

L'intervista alla band in occasione dell'uscita del nuovo album

15 Novembre 2021

Vengono da Bologna, ma hanno quel sound post-punk/new wave tipicamente inglese, che a tratti ricorda i Joy Division di Unknown Pleasures o i The Smiths, ma anche i nostrani CCCP e Diaframma, con una vena ancora più dark e oscura. Sono i The Black Veils, arrivati alla pubblicazione del terzo album, Carnage, uscito il 15 novembre 2021 per Icy Cold Records con distribuzione Audioglobe.

Il sound proposto è tipicamente ottantiano, a partire decisa predominanza del basso, che dopo una breve intro di feedback di chitarra, apre la prima traccia del disco, See You At My Funeral e che per tutta la durata dell’album mantiene un ruolo da protagonista. Allo stesso modo, anche la voce sembra uscita dalla stessa decade, eterea ma aggressiva allo stesso tempo.

Abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con la Gregor (voce), Mario (chitarre), Leonardo (batteria) e Filippo (basso) in occasione dell’uscita del nuovo album.

Innanzitutto, benvenuti su Radio Sherwood e complimenti per il nuovo lavoro.

Gregor: Hell-o

Mario: Ciao Radio Sherwood!

Leonardo: Ciao a tutti!

Filippo: Buonasera Signore e Signori!

Come riportato nel comunicato stampa, questo disco vuole proporre un post-punk crudo e diretto, registrato e mixato per restituire l’impatto live della band, con l' intento di creare un album corale, più spontaneo e aggressivo dei precedenti, senza barocchismi.

In cosa si realizza questa coralità e in che modo questo vostro terzo disco si discosta dai precedenti?

Mario: Sicuramente l’entrata di Leonardo nella band ha portato un’altra testa e un altro cuore, con tutte le sue influenze, senza andare ad intaccare l’alchimia che avevamo consolidato negli anni. Noi abbiamo sempre composto e prodotto musica assecondando l’urgenza del momento. Urgenza, in questo caso, di gridare e sfogare una rabbia inquieta che ci attanaglia(va). In Carnage è stata tradotta in sonorità più definite, spigolose, violente e attraverso testi maggiormente viscerali rispetto a quelli di Blossom e Dealing with Demons. Avevamo già notato durante gli ultimi live pre-pandemia che il nostro sound stava mutando, risultava più incazzato e il passo successivo è stato trasporlo dal palco allo studio.

Filippo: Concordo con Mario. L’ingresso di Leonardo è stato fondamentale per cementare determinati equilibri e romperne altri, avevamo già abbracciato una dimensione più scarna e diretta e le influenze esterne ci hanno ancor più spinto verso la direzione presa in Carnage. Ci tenevamo tantissimo a questo disco e la priorità massima era proprio il riuscire ad avere la stessa energia e ruvidità presenti nelle performance dal vivo. Inoltre credo anche che questa coralità si sia tradotta nel maggiore utilizzo di seconde voci e cori che ci hanno visto tutti coinvolti (con risultati più o meno discutibili) (ride).

Sempre nel comunicato stampa ponete l’attenzione sul fatto che questo nuovo disco abbia una nuova e maggiore attenzione ad argomenti di natura politico/sociale. In particolare parlate di «manipolazioni politiche che mirano a dividere e far scontrare le fasce più deboli della popolazione, lasciando costantemente indenni i privilegiati».

La tematica mi sembra forse particolarmente evidente nella canzone Hyenas e nel suo video, che mostra scene di guerriglia urbana in opposizione al filmato di un uomo che si ingozza di cibo.

Vi riferite a qualcosa in particolare quando parlate di manipolazioni politiche? Ci volete parlare di questo aspetto del nuovo lavoro?

Gregor: I Black Veils sono da sempre un progetto con intenti non-autobiografici che diventa “personale” proprio malgrado. Comporre un disco più “feroce” che risentisse maggiormente del contemporaneo non è stato un atto del tutto consapevole: forse ce ne siamo accorti per la prima volta quando abbiamo ascoltato tutte le demo di fila. Ho scritto i testi di Carnage prima dello scoppio della pandemia, in uno stato di particolare insofferenza nei confronti dello scenario politico-sociale, italiano e internazionale. Senza cominciare a snocciolare banalità, giacché il rischio di banalizzare è altissimo, vorrei soltanto dire che il livello del dibattito politico oggi è tanto basso quanto subdolo e si ferma a un livello tragicamente manicheo che non prevede né permette approfondimenti di sorta e zone grigie. Parlando della nostra classe politica, a me pare che persista il tentativo propagandistico di offrire un capro espiatorio in pasto alla sudditanza votante, sfruttando il buon vecchio divide et impera. Basti pensare alla pratica sempre più normalizzata del cosiddetto hate speech. Hyenas parla da sé: «How did we ever get this far? It’s all I wonder now, while you let me drown». Credo sia un’immagine piuttosto esplicita.

Il disco si presenta inoltre come «un concept su ruoli di vittima e carnefice, posizioni sempre interscambiabili, sull’ambiguità dei ruoli e sull’incomunicabilità». Cosa intendete con queste parole?

Gregor: Inizialmente avevamo pensato di chiamare il disco Victims, perché “vittime” è la parola chiave dell’album. Siamo per motivi diversi sempre più insicuri, fragili, feriti, autocentrati, arrabbiati e ci rifugiamo ossessivamente in un senso di appartenenza riconoscibile, circondandoci quasi esclusivamente delle persone che sembra ci “approvino” per non metterci troppo in discussione. Anche perché mettersi in discussione può essere un processo molto doloroso, lungo e provante, specialmente in quest’epoca. Nelle relazioni, di qualsiasi natura, ci si sente spesso vittime e non si vede il male che siamo capaci di fare. Anche quando ce lo fanno notare, mi sembra che si faccia molta fatica a immaginarsi carnefici anziché parte lesa o incompresa. Tornando invece a un discorso politico, c’è una narrazione “dall’alto” che trasforma le vittime di questa società in carnefici e i carnefici in vittime per assolversi, costantemente, irrimediabilmente. E si cavalca il bisogno disperato delle persone di sentirsi “pulite”, “autentiche”, dal lato “giusto” della Storia, dei sentimenti, delle relazioni. L’incomunicabilità è conseguenza diretta, ma anche il carburante che alimenta questo meccanismo. 

Tra le molteplici ispirazioni che citate relativamente al nuovo disco ve ne sono di cinematografiche, come What Ever Happened to Baby Jane?, film di Robert Aldrich, per la canzone Lamourlamort, e il riferimento a Gian Maria Volonté in This Is Going to Hurt. Ma le ispirazioni sono molteplici, il romanzo Pompes funèbres di Jean Genet, da cui deriva anche il ritornello cantato in francese della già citata Lamourlamort, Chants de Maldoror in Death By Arrogance

Insomma un mix ricercato ed eterogeneo, che spazia parecchio e riprende spunti da varie forme artistiche. Spunti che mi sembrano essere accomunati dal riferirsi spesso a situazioni “estreme” di violenza, rivolta, erotismo, amori e tradimenti.

Da dove nascono queste ispirazioni e quali sono i motivi che vi portano a mescolare riferimenti anche apparentemente così distanti tra di loro?

Gregor: Di Pompes funèbres mi aveva molto colpito un’immagine in cui il protagonista, durante un funerale, ricorda un paragone fatto da un suo ex-compagno di carcere riguardo i pacchi concessi ai prigionieri: «Hai diritto a un pacco alla settimana. Una bara o una scatola di fiammiferi è lo stesso, è sempre un pacco». Lui mette la mano in tasca, tocca una scatoletta di fiammiferi e pensa: «Ho una piccola bara in tasca». Le ispirazioni non volevano essere a tutti i costi “ricercate”: sono immagini che ho incontrato, anche casualmente, e che mi hanno colpito al punto da trascriverle brutalmente su un pezzo di carta. C’è un fil rouge che lega tutto proprio perché, come canta Brendan Perry, «There is sex and death in Mother Nature’s plans». Violenza, rivolta, erotismo, amore, tradimento: se ci pensi tutti questi termini potrebbero benissimo essere sinonimi l’uno dell’altro. In This Is Going to Hurt ho citato Volontè perché mi serviva descrivere uno sguardo tagliente e non riesco a pensare a uno sguardo più tagliente del suo.

Filippo : Nei testi dei Black Veils c’è sempre stato questo connubio tra varie forme artistiche. Vorrei citare ad esempio un brano di Dealing with Demons, The Wicker Man, chiaro omaggio già dal titolo al film cult del 1973 diretto da Robin Hardy, e al suo attore protagonista, Sir Cristopher Lee. Altro esempio a riguardo è il video della title-track del medesimo disco, Dealing with Demons, dove Mario si è divertito a citare una pellicola francese argentiana del 2013 dal titolo L’étrange couleur des larmes de ton corps. Che poi spesso si tratti di riferimenti ad opere estreme che rimandano a determinate tematiche è una cosa abbastanza casuale, dovremmo interrogarci a riguardo e scandagliare la nostra psiche (ma evitiamo accuratamente di farlo) (ride).

In aggiunta mi sembra che l’artwork abbia anch’esso un ruolo non secondario. Chi ha curato tutta la parte estetica del nuovo disco? Tra l’altro, sempre a proposito di film, la copertina del disco ricorda i poster di alcuni film horror; Quella Casa Nel Bosco o The Cube sono i primi che mi saltano in mente per associazione, guardando la grafica. Sono volute queste atmosfere horror e questi rimandi, che si rispecchiano nel riferimento ad Elizabeth Short, vittima di un omicidio irrisolto negli USA, in This Is Going to Hurt o al già citato film di Aldrich? Qual è il significato di questa casa che brucia in copertina? Considerando poi che «la casa brucia» era un motto del '68 francese, si può pensare un altro rimando socio-politico?

Gregor: Per la parte grafica ci siamo affidati completamente a Yuri (@mynameisyuri) su consiglio di Michele Montagano della V4V. Un giorno ho visto Michele per un caffè e gli ho descritto l’album, ammettendo di non avere alcuna idea di cosa stessimo cercando graficamente. È molto difficile guardarsi “da fuori” e con il distacco necessario quando sei così coinvolto nel processo creativo: rischi di fare grossi danni cercando di controllare tutto. A Yuri sono bastate una manciata di ascolti e due-tre parole chiave per interpretare l’estetica del disco e dei singoli. Il fatto che le copertine rimandino alle locandine dei film horror, da fan dell’horror in tutte le sue declinazioni, non può che farmi piacere. Per quanto, anche in questo caso, non credo sia stato un parallelismo del tutto consapevole, ma sarebbe giusto chiederlo direttamente a Yuri. Elizabeth Short è una mia personale ossessione da quando ho trovato su una bancarella a Londra una copia di Severed di John Gilmore. Mi piace pensare che non si tratti di qualcosa di morboso: è un tributo, un tentativo ingenuo di restituirle la dignità che le hanno sottratto violentemente da più parti. «Elizabeth Short will get her revenge, you know...»

Mario: Quando Yuri ci ha proposto il suo lavoro siamo stati tutti subito entusiasti. È riuscito a carpire l’essenza racchiusa nelle 9 tracce e a tradurla in immagine. Dalla stessa mano sono stati curati anche gli artwork dei singoli, che hanno creato un fil rouge estetico visuale tra i brani. Dalla prima volta che ho visto la casa che brucia ho sempre immaginato, in maniera banalmente letterale, l’ambientazione tipo di Cities on Fire, brano manifesto, composto nel 2016 - in un’altra veste - e mai ufficialmente pubblicato. Questa volta non potevamo perdere l’occasione di integrarlo come chiusura di Carnage.

Il disco è stato scritto e registrato prima dell’inizio della pandemia. L’avete ripensato e rimaneggiato nei due anni in cui queste canzoni sono state ferme in attesa o sono ancora quelle che erano state composte per l’uscita due anni fa? Che tipo di impatto ha avuto, se ne ha avuto alcuno, questo periodo sulle vostre canzoni e come ci si sente a poter “liberare” finalmente questi pezzi dopo tanta attesa?

Gregor: Dopo aver ultimato le registrazioni a Bologna, abbiamo incontrato Federico Pianciola nel suo studio di Torino per impostare i mix. Ciò è accaduto appena due mesi prima dello scoppio della pandemia. Il primo lockdown lo abbiamo speso a lavorare a distanza sul missaggio, prima di passare tutto al carissimo Giuseppe Taibi (Two Moons, European Ghost e chi più ne ha più ne metta - credo abbia sette band all’attivo) che ci ha curato il master. Personalmente devo anche ringraziare l’amico Daniele Carretti (Offlaga Disco Pax, Felpa), perché i suoi consigli sono stati preziosissimi e ci ha fatto notare dettagli che probabilmente avremmo ignorato. Nessun rimaneggiamento: una volta chiuso il master abbiamo aspettato pazientemente, anche troppo. Nel frattempo abbiamo lavorato con la Icy Cold Records all’uscita dei singoli, affidando il compito di remixarli ad alcune band amiche (Geometric Vision, Hapax, The Foreign Resort). Ascoltare le loro versioni dei brani è stato un modo per non soffrire lo stallo e proiettarsi verso un futuro di concerti insieme. Può sembrare un po’ stucchevole leggerlo ora, ma in piena pandemia, con il settore musicale completamente in ginocchio, non lo è stato affatto.

Mario: È stata una lunga attesa. Il trucco (per me) è stato non ascoltare costantemente il disco. Oggi, sulla soglia della release e con la data zero alle porte (27/11, Covo Club, Bologna), penso che l’urgenza di cui sopra sia rimasta, tutto sommato, invariata.

Leonardo: (Credo) non esista musicista sulla terra che nella vita, almeno una volta, non abbia desiderato rimettere mano sui propri brani, rischiando di buttare in aria tutto un lavoro fatto in modo accurato. Per quanto mi riguarda la pandemia con il suo bel lockdown non ha di certo rallentato questa pulsione; ma per fortuna non c'è cascato nessuno di noi. I brani son rimasti lì, così, come li avevamo partoriti. Vissuto un periodo storico di transizione di calibro mondiale come quello passato, è difficile dire di non essere cambiati (nel bene o nel male), e rimettere mano su brani composti e registrati in un clima e spirito pre-pandemico sarebbe stato un grosso errore. Stare fermi così tanto a lungo (non per nostra scelta) ha fatto notevolmente scaldare i motori, e senza dubbio ci ha aiutato a riconsiderare la predisposizione sul come facciamo le cose, sullo spirito e l'attitudine nei confronti dei live. Sicuramente è aumentata l'esigenza di tirar fuori quello che abbiamo dentro e la voglia di performare. Non vediamo l'ora!

 
 

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