Recensione di Niente di Vero di Veronica Raimo

Il Romanzo spicca tra i dodici finalisti del Premio Strega 2022

10 Aprile 2022

«Non ho mai più avuto una persona che mi stringesse le mani mentre pativo sulla tazza del cesso. Chiederlo non è facile. Mi sono restate solo la solitudine e l’inadeguatezza. Ogni volta che vado incontro a quell’afflizione, comincio a rileggere tutta la vita in questi termini: un conflitto costante tra abbandonare qualcosa e cercare di riprenderlo. La maledizione perpetua della terra di mezzo.»

Mettiamo pure che la copertina sia dai lineamenti semplici di Einaudi ma con una nuance sbarazzina. Mettiamo pure il commento di Zerocalcare che specifica di non aver mai riso ad alta voce da tanto tempo sino a questo libro. Un mix di condizioni a contorno che rendono desiderabile leggere un volume del genere.

Siamo in un Paese che, per antonomasia, ama sguazzare nei dilemmi generazionali che si scontrano in famiglie troppo rumorose, troppo invadenti, troppo appiccicose, troppo – per così dire – italiane. E la famiglia di Veronica Raimo, descritta in Niente di vero, non ne è a meno.

Dapprima una bambina, poi un’adolescente, sino ad una donna, Verika detta anche Oca, inizia a sbrigliarsi dal labirinto che è la sua casa dove sorgono pareti di cartongesso in ogni dove, che, per quanto sottili, evitano qualsiasi tipo di privacy. Una casa chiassosa composta da russamenti variegati e urla sguaiate del padre, disinibito dinanzi a tutti, abituato a sbraitare anche con un semplice saluto di commiato, burbero quanto petulante fissato d’igiene. “Siamo arrivati al paradosso”. Questa, la frase mantra che contornava qualsiasi avvenimento.

 Dall’altro lato una madre, donna ansiosa sempre pronta ad immaginare i propri figli morti e gettati in un fosso se non riescono ad intercettare il primo squillo di telefono e a stalkerizzare gli amici dei figli per ottenere un minimo cenno d’esistenza. Tanto apprensiva ma tanto orgogliosa nel dipingere i propri figli in aggraziati quanto devoti ragazzi allo studio o quantomeno all’arte del disegno, donna timorata dalla lussuria, peccato capitale pronto ad invadere le donne che, sfacciate, osano solo avvicinarsi agli uomini.

Ma Verika non ha solo un padre ed una madre di tale stregua, ad essi, infatti, si aggiunge un nonnino compagno di bagno e di cruciverba ed un geniale fratello maggiore, parvente ingenuo a bersela dinanzi ad un dado che dà sempre 5, sino ad un aulico, quanto criptico, dispensatore di parabole evangeliche.

Dagli episodi infantili che ispirano tenerezza come il sogno di diventare star internazionale attorniata da fan vogliosi di autografi, al furto dei disegni e alla conseguente appropriazione, le esperienze con la catechesi e la Chiesa, sino al pisciarsi sotto dalla paura dinanzi ad un maestro dalla fama di libidinoso. Dall’altro lato le esperienze più adulte e fautrici di angoscia, paura o rabbia: relazioni amorose terminate, l’IVG e l’orrifica scoperta di feti sotterrati “gli angeli” da associazioni cattoliche senza alcuna autorizzazione, lutti e solitudini, il tutto con il fil Rouge del tormento/estasi dell’essere scrittori, elemento comune tra i due fratelli.

La scrittura è limpida, piacevolmente ironica e dalle movenze intrattenitrici, un po’ come essere dinanzi ad una sit-com ilare che sprofonda in lineamenti foschi ora, melanconici poi.

Niente di vero sembra tuttavia essere un romanzo di formazione ‘a metà’ perché diviso, non proprio chirurgicamente, in due parti: da un lato la narrazione in flashback di un passato lontano con aneddoti peculiari appartenenti all’infanzia e all’adolescenza, dall’altro lato lo scontro, al presente, con la narrazione contemporanea di quel che accade nei momenti in cui Veronica Raimo stessa scrive questo romanzo.

Su questi elementi mi permetto di esporre una battuta personale: avrei voluto evitare di leggerli per non sentirmi improvvisamente cacciata fuori dai ricordi ben descritti e sagaci, alla quale seguono sprazzi un po’ annoiati della coeva routine, ma d’altronde, scrivere del passato impegna causticamente il presente, facendo sì che tutto si mescoli voracemente in un unico calderone mentale, e non resta che cosa, se non guardare al futuro?

 
 
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