Verdena - Volevo Magia

Il magico ritorno nevrotico dei Verdena dopo sette anni

30 Settembre 2022

Nel 1999 i Verdena cantavano la celebre frase ‹‹Sto bene se non torni mai›› di Valvonauta, ma i più appassionati e affezionati della scena rock indipendente italiana in un loro ritorno ci hanno sempre sperato e creduto.

Ed è così, dopo sette lunghi anni, che i Verdena partoriscono Volevo magia, il nuovo disco pubblicato per la Universal lo scorso 23 settembre.

Un disco scritto in due tempi diversi, uno pre pandemia e l'altro post, tra varie vicende che vedono la gravidanza di Roberta, altri progetti musicali esterni al gruppo come la nascita degli I Hate My Village di Alberto e degli Animatronic di Luca, oltre che guasti tecnici come la rottura del registratore a nastro, che porteranno il trio a registrare in digitale per la prima volta.

Il trio bergamasco si era anche dilettato nel frattempo nella produzione della colonna sonora per il film America Latina dei fratelli D’Innocenzo, incoronando così il sogno dei due registi nel 2021 che possiamo definire i Verdena della cultura cinematografica.

Prima di servirci l’album completo, i Verdena hanno pubblicato il singolo Chaise Longue, una ballata che apre il disco tra chitarre acustiche e spruzzate di chitarre elettriche e tastiere. É un pezzo dall’aria malinconica, che si sposa benissimo con il mese in cui è stato concepito tra giornate di pioggia e il primo freddo: potremmo definirla una perfetta colonna sonora. Per quel che si può intendere tra le varie interpretazioni che si può dare ad un pezzo dei Verdena, il brano sembra essere un monologo rivolto ad un amore che non può più funzionare, troppo maturato e che tende a svanire nell’onirico.

Per il resto, il disco è una vera e propria montagna russa dal punto di vista musicale, un avvicendarsi di elementi disparati e contrastanti. Vediamo l’alternarsi del blues di Paul e Linda – il cui nome del pezzo è un tributo a Paul McCartney e Linda Eastman, a dimostrare che c’è sempre qualche richiamo a ciò che per il trio bergamasco sono i mostri sacri della musica: i Beatles - ballate da ritmi dolci e tristi come Certi Magazine che si chiude per dare spazio al math rock nevrotico di Crystal Ball con i suoi cori rabbiosi.

Si può scorgere la poesia ermetica di Sui ghiacciai, un’implorazione d’amore quasi adolescenziale, ma scritta dalla maturità dei Verdena che si interrompe all’improvviso per dare spazio al punk frenetico di Volevo Magia che fa sognare di pogare sotto al palco alla prima data del tour disponibile.

La tematica dell’amore viene trattata poco serenamente e lo si evince in Cielo Super Acceso dove Alberto Ferrari chiede di spegnere il cielo tra un ipotetico “noi”, ormai non più così tanto acceso, sulle note elettro-rock del brano.

E di nuovo, il brano rock lascia spazio ad un’altra ballata: X Sempre Assente. Di nuovo poi si sale ipertroficamente con altri due pezzi tipicamente verdeniani come Paladini e Sino a Notte (D.I.) per approdare e terminare con Nei Rami, lasciando un nodo in gola ed una pacata tristezza disarmante.

Volevo magia è un disco che si alterna tra pezzi più rockeggianti e ballate, in cui si nota che le prime provengono da un dopo-pandemia, quasi a segnare il senso di sgomento e nevroticismo.

Tutto è però legato da un meccanismo che funziona bene, che riesce ad incasellare i tasselli del puzzle nel posto giusto. I testi, come da copione per ogni album dei Verdena, sono dei veri e propri enigma da risolvere, in modo sempre intimo e personale, con la voce di Alberto che sgomita irrequieta tra chitarra, basso e batteria. Il dadaismo verdeniano si prende gioco dei testi facilmente accessibili, proprio come quelli che la musica mainstream propina ogni giorno.

Alberto, Luca e Roberta restano fuori da ogni dinamica temporale della scena musicale rinchiudendosi nella loro bolla.

Per loro, l’uscita di un nuovo disco rappresenta sempre un salto nel vuoto, non sapendo se effettivamente ci sarà qualcuno che li ascolterà o andrà ai loro concerti, complice il fatto di non essere molto presenti sui social e di non poter avere così un riscontro diretto con i fan. Quasi un senso di insicurezza, ricco di dubbi adolescenziali che si insinua nei gulliver (la testa, usando il linguaggio nadsat di Arancia meccanica) del trio sotto questo punto di vista, ma davvero liberatorio nel loro modo di essere musicisti non curanti di sganciare un prodotto fatto per piacere per forza al pubblico. Ma nonostante non partoriscano qualcosa che debba essere alla mercè di tutti, riescono sempre a stupire chi di loro ne ha fatto un vero e proprio credo, ma anche chi di loro non sapeva nulla facendo avvicinare e appassionare altre persone alla loro musica.

 
 

 
 
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