Sigur Rós al Gran Teatro Geox di Padova - Live Report

Il grande ritorno in Italia di una delle più grandi band post-rock islandesi.

6 Ottobre 2022

Ritorna dopo cinque anni in Italia il 3 ottobre 2022 sul palco del Gran Teatro Geox (inizialmente programmato alla Kioene Arena) a Padova uno dei gruppi più celebri del panorama post rock-ambient del nord Europa: i Sigur Rós, impegnati attualmente in un tour mondiale.

Il concerto programmato per le 21, inizia in perfetto orario! L’attesa del pubblico viene dunque subito squarciata dall’arrivo del gruppo islandese che sulle note di Untitled #1 (Vaka) viene accolto da un applauso fragoroso. Un applauso che andrà via via diminuendo per poter ascoltare il pianoforte e la dolce voce sinuosa di Jón Þór Birgisson, avvolto da una luce rossa, che trasporta in un’altra dimensione.

Tra bassi, pianoforte e voce, a legare questo connubio perfetto ci sono le percussioni suonate da  Ólafur Björn Ólafsson (Óbó) che, in un modo lento e pesante quasi da sentirlo nelle viscere, lascia disarmato il pubblico in Untitled #2 (Fyrsta). Concludono questo primo blocco dell’album ( ) con Untitled #3 (Samskeyti). Il pubblico è composto ed in silenzio, raccolto come in preghiera ad ammirare i Sigur Rós, come se fossero delle vere e proprie divinità. L’unico momento in cui il silenzio si spezza è alla fine dei brani, dove con applausi lunghissimi, i fan del gruppo dimostrano tutta la loro devozione.

Dopo i primi tre brani, Jón Þór Birgisson esegue un assolo con la chitarra suonando le corde con un archetto da violoncello, grande peculiarità dell’artista, che interrompe l’aurea eterea che aveva creato in precedenza per trasformarla in qualcosa di spettrale, lugubre e tetra.

Ma ecco che di nuovo gli spettatori vengono catapultati in un’atmosfera onirica con Svefn-g-englar (Ágætis byrjun, 1999), pezzo dall’impronta ambient, ma che nel momento in cui sembra essere arrivato al termine, si trasforma in un brano più rockeggiante con le chitarre e la batteria che rompono la tranquillità che stava trasmettendo inizialmente, per poi riprenderla con la voce di Jónsi che ripete «Tjú, tjú» come se fosse un mantra, trasformando la sua voce in un vero e proprio strumento.

Rimanendo sempre sull’onda di Ágætis byrjun, il gruppo islandese esegue Rafmagnið búiðe Ný batterí dall’aria estremamente malinconica per poi immergersi nell’album Með suð í eyrum við spilum endalaust con Fljótavík e successivamente di nuovo in ( ) con Untitled #7 (Dauðalagið).

Il viaggio onirico viene interrotto da un intervallo, come quello che c’è al cinema, che vede il pubblico dividersi in chi rimane sul suo posto guadagnato e chi invece perlustra lo spazio o riempie il bicchiere di birra.

Dopo quindici minuti di assenza sul palco, la mancanza inizia già a farsi sentire, ma i Sigur Rós ritornano con Glósóli,un pezzo più rock dove la chitarra e la batteria fanno da padroni ed in cui gli spettatori diventano parte integrante degli strumenti battendo le mani a tempo. D’ora in poi il concerto sarà molto più movimentato, l’atmosfera tranquilla e di sacralità verrà sostituita dall’irrequietezza di brani come Untitled #6 (E-Bow)e dalle percussioni suonate in maniera persistente dei celebri pezzi Sæglópur e Gong (Takk…, 2005). Ma la pacata dimensione creatasi in precedenza non viene del tutto spazzata via, perché a farla ritornare ci sono brani come Andvari (Takk…, 2005) e Festival (Með suð í eyrum við spilum endalaust, 2008), il pubblico continua ad aiutare il gruppo battendo le mani tra cori celestiali e chitarre.

I Sigur Rós concludono il concerto eseguendo in maniera egregia Untitled #8 (Popplagið), Jónsi quindi ringrazia il pubblico per essere venuto ad ascoltarli ed insieme agli altri componenti del gruppo, Georg Hólm al basso, Kjartan Sveinsson alle tastiere e Ólafur Björn Ólafsson alla batteria si inchinano salutando i propri fan in una marea di applausi.

Nonostante la lunghezza dei brani e l’incomprensibilità delle parole dovuta dal fatto che i testi sono scritti in islandese e nella lingua inventata dai Sigur Rós chiamata volenska (che in italiano sta per “lingua della speranza”), un concerto del genere è comunque in grado di scavare nella profondità di ogni singolo ascoltatore, che tornerà a casa con un bagaglio di emozioni nuovo che probabilmente non sapeva neanche di poter provare.

 
 

Foto di Takashi Konuma

 
 
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