La rivoluzione di Pino!

Intervista a Pino!, artista che si dimena tra basi elettroniche e rock alternativo

15 Novembre 2022

Tra le stanze degli studenti fuorisede di Padova, continua il progetto del triestino Pino!, al secolo Thomas Pinaffo, classe ’99.

Thomas è uno studente di Psicologia di comunità presso l’Università degli studi di Padova, con la passione per la musica, a cui dedica la maggior parte del suo tempo tra sperimentazioni di base elettronica e altre che si avvicinano più al rock alternativo in maniera del tutto autoprodotta.

Il 23 settembre è uscito il suo primo ep – Servito freddo – che si apre con un Intro e si chiude con un Outro, dove si dimenano In ciabatte, Rivoluzione, Bamba e Il ritmo dell’ansia. Brani che parlano di amori finiti, tentativi di rimorchio impacciati e di quanto l’ansia incida nelle azioni quotidiane.

In una mattina di ottobre abbiamo deciso di andare a fare colazione insieme e di scambiare quattro chiacchiere con lui.

Ciao Thomas, o dovrei chiamarti Pino con il punto esclamativo, vuoi raccontarci un po’ da dove viene questo nome d’arte?

Allora, il nome Pino è il soprannome che mi hanno dato sempre i miei amici e i miei conoscenti dalle medie perché il mio cognome è Pinaffo. Non so se anche da voi è comune, però dalle medie tutti iniziano a chiamarsi per cognome. A una certa tutti mi chiamavano Pino, anche alle superiori, anche se era scomparsa la moda e ci si chiamava per nome. A me chiamavano Pino comunque. All’inizio ero tipo «ok, sa da vecchio», però poi mi sono abituato e ho detto «mah si dai». E mentre cercavo un nome, quando volevo far uscire le mie canzoni, questo era il più semplice, quello che già conoscevo e sentivo già mio, insomma. Potevo trovarmi un nome anche tipo “il super califrageristico”, qualcosa di inglese figo però avevo paura di fare un po’ lo sborone no? In realtà no, però Pino mi sembrava adeguato. E il punto esclamativo è perchè Spotify aveva già tanti Pino a quanto pare (ride, ndr). A quanto pare un sacco di gente si fa problemi. Poi c’era anche uno che mi ha mandato in radio l’altro giorno e fa «Si, ha questo nome qui con il punto esclamativo». Oppure su Instagram ho messo “.esclamativo” perché il punto esclamativo era stato già preso e non potevo inserirlo. E questa è la storia sostanzialmente.

E da dove nasce la tua passione per la musica?

La mia passione per la musica nasce sicuramente da mio padre che mi faceva ascoltare vecchi classici rock, prevalentemente americani o inglesi, tipo Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, tutta quella roba là. Infatti, ero stra infottato con quella roba là. Ho iniziato a far chitarra quando ero piccolo, con l’oratorio della chiesa che mi ha insegnato quattro accordi, però almeno sapevo già muovere un po’ le mani. Quattro accordi li sapevo fare bene dopo all’oratorio. Allora sono andato in una scuola di musica, dove sono stato parecchio suonando la chitarra e suonavo prevalentemente rock. Però il tipo che mi insegnava, Filippo Massa, era un chitarrista jazz e qualcosa me l’ha passato, almeno per andarmi a cercare un po’ di jazz, un po’ di bossa nova. Quello mi ha aiutato anche ad aprire un po’ gli occhi su altri generi e anche sulla musica italiana. Quindi è iniziato tutto con la chitarra. Poi, non so, inizi a suonare, ti piace, inizi a scrivere robe con la chitarra e ti rendi conto che se non le suoni con qualcun’altro non hanno un senso dei pezzi solo con questa, a meno che tu non sia un dio della chitarra. E quindi, ho iniziato a scrivere dei testi, ma non sapevo cantarli. Mi son messo a scrivere dei testi che potessi cantare, delle linee melodiche che potevo cantare. Man mano ho iniziato a cantare finché non sono riuscito a farle secondo me decentemente. E poi avanti così, quindi diciamo un adattamento dovuto alla situazione perché faccio musica da solo, non ho trovato altra gente, perché canto, perché mi son trovato a scriver canzoni, un po’ tutto così.”

Il 23 settembre è uscito il tuo primo EP “Servito Freddo” completamente do it yourself, ma nel 2021 hai pubblicato Tutto Ok e Paris Hilton per Antieroi Dischi. Come mai la scelta di dirigersi verso l’autoproduzione?

In realtà già Tutto ok e Paris Hilton sono autoprodotte. Nel senso che avevo già fatto delle demo e tra queste demo c’erano queste due canzoni. Cosa succede? Mi contatta Igor Ambrosino che era il fonico di questa etichetta a Trieste. E mi dice «Guarda tuo padre mi ha fatto ascoltare delle robe – che l’aveva beccato ad una cena – e mi piacciono. Magari mandami qualcosa». Allora gli ho inviato l’unica decente che avevo che era Tutto ok e mi ha detto che ci stava. Allora sono andato in studio con lui, gli ho dato quello che avevo già, ho registrato alcune robe che erano le stesse che avevo già fatto, ma in maniera decente. Quindi la voce me l’ha registrata con dei microfoni buoni, e il resto era quello che avevo fatto io. Ma anche quello che abbiamo registrato era quello che avevo fatto io, solo che era migliore. Poi ha mixato, masterizzato e fatto uscire con l’etichetta. Qualche mese dopo ho fatto Paris Hilton, sempre a casa mia e sempre con la medesima modalità. Sono andato da lui e l’ho registrata meglio. Poi l’etichetta è morta e io nel mentre stavo continuando a fare robe mie, in particolare volevo lavorare a questo ep. Morta l’etichetta ho detto che avrei fatto uscire l’ep da solo.

Rivoluzione è stato il primo singolo dell’album che hai pubblicato. Perché hai scelto proprio questo pezzo e come hai capito che potesse essere proprio questo?

In realtà forse ho sbagliato a farlo uscire perché il singolo secondo me dovrebbe essere un po’ la canzone che rappresenta l’album e forse ancora di più quella che possa piacere di più alla gente. Però ho scelto Rivoluzione perché è quella che ho registrato per prima, più di un anno fa e mi è sempre piaciuta molto come canzone e anche a chi l’ho fatta ascoltare tra i miei amici. Quindi non c’erano dubbi: quella è l’unico punto solido del disco, poi il resto l’ho fatto da quando mi sono trasferito a Padova. Quindi quella era l’unica cosa che sapevo che ci sarebbe stata dentro il disco. E poi penso che sia una delle canzoni che per come è stata scritta e com’è rappresenta un po’ di più il mio solito modus operandi. Nel senso che la maggior parte delle canzoni che ho scritto le scrivo con la chitarra e la voce, le registro e poi ci faccio la produzione sopra. Cosa che è successo anche per il Ritmo dell’ansia, però le altre ad esempio Bamba, In ciabatte e Outro ci ho fatto prima la produzione e poi ho scritto la canzone sopra. Quindi Rivoluzione rappresenta un po’ il mio vecchio modo e solito di scrivere una canzone e secondo me quella è la canzone che mi è uscita meglio, di cui son più felice usando quel modo di lavorare. Quindi aveva anche un valore simbolico in questo.

Nelle storie che racconti attraverso i tuoi testi si scorge sempre un po’ di amarezza. Dalla storia d’amore giunta ormai al termine in “In ciabatte”, all’appuntamento non finito bene di “Bamba” per poi passare al “Ritmo dell’ansia” che narra di quest’emozione e di quanto possa essere disabilitante a volte. Sembra quasi essere il ritratto della generazione odierna… quanto ti ci rivedi nei testi che hai scritto?

Per niente! (ride, ndr)

Ci pensavo l’altro giorno che in realtà mi ci rivedo totalmente anche perché speso magari scrivo immaginandomi di essere in una situazione. Quindi come reagirei e scriverei se fossi in quella situazione. E poi prendo spunto un po’ dalla mia realtà e dal mio passato. Ad esempio, In ciabatte non prende spunto dalla mia relazione attuale con la mia fidanzata. È io che mi immagino di essere in una situazione del genere, anche prendendo dalle mie relazioni passate e da come sono finite. Bamba è un po’ quella cosa la, mi ricordo quando ero single e andavo ai festini. Poi ci sono canzoni in cui mi ci rivedo di più tipo Il ritmo dell’ansia e canzoni magari che hanno qualcosa di mio, ma che cerco di generalizzare per renderla comprensibile e apprezzabile agli altri, tipo Rivoluzione. Oppure Tutto ok è una canzone molto personale, secondo me è la migliore che ho scritto prima di iniziare a produrmi le canzoni. Quindi fa parte di quell’agglomerato di canzoni che avevo prima. Volevo imparare a produrre, scelgo quella che mi piace di più e che ritengo più semplice da produrre.

Ci racconti la storia della copertina dell’album? Perché hai scelto proprio un pesce per rappresentarti?

Io non ho collaborato con nessuno a livello musicale per quest’album. Anche per una questione d’orgoglio e per poter dire «Cazzo ce l’ho fatta, volevo fare un ep da più di un anno. Mi metto, lo faccio e ce l’ho fatta, indipendentemente da quali sono i risultati».

Se c’era una cosa su cui potevo collaborare erano il video del singolo e la copertina dell’album. Volevo coinvolgere la mia fidanzata - Elisabetta disegna -, e avevo in mente un’idea. Gliel’ho chiesta, ci siamo messi a parlare, ci siamo messi a disegnare (cioè lei si è messa a disegnare, io guardavo) e ha fatto una roba che mi piaceva molto, però non si spossava perfettamente col disco. Quindi era «ok, l’idea è buona, però dobbiamo lavorarci». Però non ci riusciva a venire in mente niente. Allora abbiamo lavorato ancora un po’, siamo arrivati ad un’idea completamente diversa e ho detto «boh dai, si sposa un po’ di più con l’album, teniamo questa». Poi lei ha fatto un disegno, l’ha postato su Instagram ed era praticamente la copertina dell’album e le faccio «Cazzo questa è fighissima! Ci starebbe un botto con l’album perché Servito freddo si riferisce al fatto che le canzoni le ho già fate da un po’ e sono ormai fredde, avrei dovuto già farle uscire un po’ di tempo fa. E ci metti effettivamente un pesce, che è quello che servi freddo». Lo ha rifatto un po’ meglio, lo ha adattato al disco ed è stato scelto quello.

Sui tuoi canali social, oltre a pubblicare classicamente i tuoi pezzi, molto spesso tendi anche ad intrattenere il pubblico. Un esempio sono i video che posti su come nasce un tuo beat, oppure ultimamente a seguito dell’uscita di “Servito freddo”, hai pubblicato una vera e propria guida al disco. Da dove nasce l’esigenza di rendere partecipe chi ti ascolta nel tuo processo di ideazione? Sembra quasi che a te non interessi semplicemente far vedere il prodotto già bello e finito.

Allora, nasce da un’esigenza, secondo me, comune a tutti gli artisti o creator che è quella di comunicare con il proprio pubblico. Nei tempi in cui viviamo, c’è bisogno di una comunicazione speciale e non solo musicale. Allora ho deciso di fare questa cosa però in un modo che non mi pesi. La strada che ho scelto è divertirmi e riprendermi in quello che faccio normalmente. Divertirmi potrebbe essere “Faccio una guida per una roba che comunque mi interessa, ad esempio di cinema. Oppure far video, che è una cosa a cui mi sto interessando e voglio fare.” Ho scritto lo script e poi ho fatto il video, e la mi son divertito e basta. Non è una cosa che faccio normalmente. E poi pubblico making of di canzoni perché mi diverto. Perché poi quelle canzoni non le pubblico, son canzonette appunto. Ma banalmente magari in un pomeriggio non ho niente da fare, faccio musica, può uscire qualcosa di decente, o qualcosa di decente ma non così tanto da farci una canzone e quello ad esempio può essere un video che pubblico su Youtube. È un modo per mantenermi in contatto con i miei fans e facendo quello che mi pare. Poi non so neanche se è la modalità più opportuna, però ho appena iniziato e possiamo vedere come va.

 
 

Instagram Pino!:

https://instagram.com/pino.esclamativo?igshid=YmMyMTA2M2Y=

 
 
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