Una rappresentazione del perturbante nel gotico andino

Il nuovo libro di Monica Ojeda “Voladoras” presentato al Book Pride di Milano

20 Aprile 2023

Mónica Ojeda, soprannominata la regina del gotico andino, ha presentato il suo nuovo libro Voladoras al Book Pride di Milano di quest’anno. Si tratta di una raccolta di racconti brevi in cui ha approfondito temi di rilevanza sociale come il femminicidio, la violenza di genere, l’incesto, l’aborto selettivo, da una prospettiva intrapsichica e intersoggettiva. La base di partenza e il fil rouge del lavoro di Ojeda è la paura tipicamente umana nelle sue molteplici declinazioni: paura della morte, della fame, della malattia, dell’invecchiamento. La letteratura gotica funziona perché permette di rispecchiarci, osservare la nostra fascinazione verso il macabro, la sete di dolore e violenza che sopravvive nonostante i tentativi più o meno riusciti di addomesticare queste pulsioni.

Stilisticamente, l’autrice si propone di ripensare la struttura del testo breve: alcuni racconti sono polifonici narrati da più personaggi, tutti sono strutturati senza una vera e propria conclusione in modo da risultare imprevedibili negli esiti, provocando così confusione nei lettori che sono condotti al di fuori della loro zona di comfort. La narrativa di Ojeda appassiona il pubblico attraverso i temi della morte e dalla violenza, che sono percepiti come estranei e causa di orrore e angoscia, ma che comunque ci riguardano personalmente, in quanto obbligano al confronto con le parti oscure di sé che, nonostante siano plasmate o disconosciute, non potranno mai essere completamente denegate. Voladoras infatti, tramite una prosa brutale e realistica, riesce a provocare nel lettore un’esperienza di perturbante, che S. Freud descrive come quel sentimento di angoscia che risale a ciò che conosciamo da tempo e che da sempre ci è familiare.

Il titolo La testa che vola, di per sé evocativo, racconta la vicenda di Guadalupe, studentessa quindicenne uccisa e decapitata dal padre, il rispettabile dottor Gutiérrez, che dopo anni di abusi assassina la figlia, la decapita, e gioca a calcio con la sua testa che per errore viene lanciata nel giardino della vicina di casa. Ojeda descrive il dialogo interno della protagonista tramite un narratore onnisciente che si interroga sugli stati d’animo al momento del lugubre ritrovamento: «Provava anche rimorso […] perché, ogni tanto, guardava con un piacere strano e sconosciuto la fotografia che aveva scattato alla testa di Guadalupe poco prima che arrivasse la volante. Repulsione e attrazione: riconosceva l’estraneo dentro di lei crescere come un ventre gonfio di vipere.» (pag. 36). La donna è consapevole dei suoi sentimenti ambivalenti: «Si chiedeva perché quel mattino l’avesse raccolta, perché l’avesse sollevata pur sapendo già, nell’attimo in cui aveva messo piede in cortile, che cosa fosse realmente.» (pag. 35). Infatti, se fosse stata unicamente e genuinamente terrorizzata dal sacchetto di plastica atterrato dal cielo nel suo cortile, per quale motivo raccoglierlo e addirittura fotografarlo? Sembrano esserci altre forze in gioco che si sviluppano in maniera autonoma e inconscia, affiancano la nostra personalità cosciente e a volte riescono a contaminarla. Così, si costituisce quella che C. G. Jung definisce la nostra Ombra: l’insieme degli aspetti di sé non accolti perché immorali, aggressivi, sconvenienti, e quindi nascosti e rimossi.

Nel momento in cui queste parti scisse sono sempre più negate e allontanate, possono diventare il Demone divoratore che ci ingloba assumendo il controllo della nostra personalità. È il caso di Sorellina e Figlia che in Canini, dopo anni di soprusi paterni e negligenza materna, capovolgono la narrazione di passività spesso associata all’etichetta di vittima e diventano loro stesse attrici abusanti. Allora l’Ombra, alimentata da un’infanzia di traumi e violenze, nutre il desiderio di vendetta delle due ragazze che eserciteranno sul padre una serie di comportamenti di abuso, annullando la sua dignità di essere umano. D’altra parte, egli non può più reagire perché è reso inerme e inoffensivo da una malattia degenerativa. Se da bambine venivano letteralmente azzannate dall’uomo, ora saranno loro a deprivarlo dei suoi denti e senza alcun rimorso, in quanto non è più una persona, ma è rappresentato come un animale: «Cosa te ne frega a te se lo brucio o se gli tolgo tutti i denti se è solo un cane?» (pag. 54), o trattato alla stregua di un oggetto inanimato. La gratificazione sadica della protagonista emerge in modo preponderante nel testo: «Papi si pisciava addosso. Si cagava addosso. Di notte ululava e Figlia non gli diede mai l’opportunità di usare fino in fondo la dentiera né di difendersi. Prima di metterlo a dormire gli toglieva i canini con un piacere che non avrebbe mai ammesso a voce alta, guardandolo sgranare gli occhi sconcertato dalla nudità della sua bocca, e in quei bulbi oculari che sembrano uova sul punto di schiudersi, Figlia vedeva chiaro e tondo chi era veramente, ma la mattina dopo non lo voleva più sapere.» (pag. 57). In questo senso Ojeda cerca di ristrutturare il ruolo di vittima, che non è più associato a una condizione permanente e statica, poiché la realtà è dinamica e noi tutti ci configuriamo a volte come vittime e a volte come carnefici. 

Tuttavia, l’Ombra non è necessariamente malevola o minacciosa, è semplicemente primitiva, sconosciuta e nascosta. Solo la presa di coscienza dei nostri aspetti più temibili ci permette di accogliere con benevolenza queste parti rendendole coscienti. Allora, il potenziale creativo intrinseco può svilupparsi in senso generativo e trasformativo. Questo è dimostrato dall’unico personaggio maschile positivo, che in “Il mondo di sopra e il mondo di sotto” intraprende un viaggio sciamanico per adempiere al desiderio di resurrezione della figlia Gabriela, espresso dalla moglie e madre in punto di morte. È un padre affettuoso e amorevole che non nasconde ma si riappropria del suo lato oscuro, del dolore, della pulsione di morte che lo perseguita e lo tiene ancorato. Questi aspetti si collocano al servizio dell’Io, in un percorso individuale di progressiva consapevolezza e responsabilizzazione. Il passo di seguito riportato è emblematico di questa integrazione: «Per alcuni la morte è liquida come la pioggia. Per altri solida come la pietra. So che questo rumore di lingue lunghe e piccole è lo spirito di Gabriela che si alza nel cadavere di sua madre. Il seme dell’albero che si schiude per regalarmi una nuova figlia. Una figlia che mi perdoni. Una seconda opportunità. Dal fondo delle ossa di mia moglie, come un fiore che si apre un varco nella pietra, mia figlia nasce. Come un condor, trovo luce e nutrimento nella carcassa.» (pag. 109). 

L’Ombra sullo sfondo nella narrazione di Voladoras non è solo individuale, ma anche collettiva, intesa come predisposizione strutturale insita nell’essere umano ad agire in modo oscuro. I racconti sono ambientati in un’area geografica definita, il Sud America, ma non sono temporalmente connotati perché i fenomeni trattati non sono tipici di un’epoca precisa. Questa scelta dell’autrice deriva dalla consapevolezza che le violenze descritte si verificano in tutto il mondo in gradi diversi, sono eventi atemporali accaduti in passato e che proseguiranno anche in futuro, perché rispondono alle pulsioni distruttive intrinseche nell’animo umano. Proprio in funzione di queste dinamiche non è possibile, secondo Ojeda, pensare di eliminare completamente l’ostilità e l’aggressività dal mondo. La sua proposta è invece quella di cogliere l’opportunità e di assumerci la responsabilità per creare un mondo che sia il meno ostile possibile tramite la collaborazione e l’impegno reciproco. 

 
 

Il libro sul sito dell'editore

 
 
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