“Di tutti gli scrittori della sua generazione, francesi e stranieri, che negli anni Ottanta vivevano a Parigi, era forse il più grande. Di certo il più invisibile” scrive Milan Kundera di Danilo Kiš (Subotica, 1935 - Parigi, 1989), precisando poi: “La dea chiamata attualità non aveva motivo di puntare i riflettori su di lui. Non ha mai sacrificato i suoi romanzi alla politica. Ha potuto così cogliere quel che vi era di più straziante: i destini dimenticati sin dalla nascita”. Ecco la refrattarietà di Kiš a qualsivoglia appartenenza, giacché l’unica sua patria è la letteratura e l’unica sua militanza è quella di “scrittore bastardo venuto dal mondo scomparso dell’Europa centrale”.