Venezia80 - “Ferrari”, una storia di auto veloci e continui tormenti

Mann fa della storia di tre mesi cruciali nella vita del leggendario magnate della Ferrari un dramma d'epoca cinico con un finale in sospeso.

31 Agosto 2023

Raccontare la storia della Rossa di Maranello attraverso un biopic su Enzo Ferrari è un azzardo che Michael Mann ha voluto correre, inciampando però nell’insolita passione di mettere in bocca ad un cast internazionale - che recita in inglese - incisi a profusione che vanno dal “commendatore” al “signora”, creando un’atmosfera folkloristica, esacerbando un esotismo non necessario che soprattutto ha come pecca dimenticarsi di Modena e dell’Emilia Romagna. 

Adam Driver - habitué ormai di ruoli di un certo tipo - è un maestoso Enzo Ferrari, il volto in prima linea dell'azienda; Penelope Cruz è la moglie e socia d'affari. L'azienda che gestiscono insieme è in crisi e il loro matrimonio lo è ancora di più: un figlio morto e un’amante - Shailene Woodley - che invece ne sta crescendo un altro. Anche la tetra nomea che aleggia intorno al nome Ferrari, in seguito ai diversi piloti morti al volante delle sue creazioni, è un fardello pesante da portarsi dietro. 

Nel 1957 - a dieci anni dalla sua fondazione - l’azienda di auto sportive è sull'orlo del collasso, con un'emorragia di denaro e una produzione di appena 98 veicoli all'anno. L'unica speranza è quella di battere i campioni in carica della Maserati alla Mille Miglia, una gara che attraversa l’Italia. Se vincono, pensa Enzo, gli ordini di auto Ferrari arriveranno a cascata.

Nei contorni di una serie di preoccupazioni di non facile gestione, di tormenti reiterati, il desiderio di Enzo Ferrari però rimane sempre lo stesso: vuole che le sue auto vincano, vincano, vincano sempre; per lui la velocità è una religione, è una vocazione superiore che richiede devozione e sacrificio.

Ma oltre Enzo, la cui umanità traspare nell’affetto che prova per tutti coloro che lavorano per lui, passa più tempo in azienda che in famiglia, quasi fossero proprio quei meccanici, quei piloti e quei collaboratori i fidi consiglieri a cui affidarsi, le altre protagoniste del film sono le macchine: eleganti e sexy coupé rosso fuoco che sfrecciano con motori rombanti, carrozzerie lucide e un superbo stallone come stemma. 

E sono loro a regalare dei piani sequenza molto emozionanti, quando correndo la Mille Miglia sfrecciano e sterzano attraversando tornanti, città e paesi, lungo strade di campagna fiancheggiate balle di fieno, prati infiniti e strade urbane affollate da spettatori festanti. I piloti che le guidano passano quasi in secondo piano, eccetto il Piero Taruffi di Patrick Dempsey, of course, consapevoli che quello sport è "una passione mortale, la nostra terribile gioia”.

Ma è proprio mentre Ferrari si avvia verso la fine che si scorge già la tragedia che incombe e si perde un po’ il filo narrativo, lasciando diverse interrogativi nell’aria. 

Non viene spiegato cosa succede dopo la Mille Miglia, non viene raccontato come esattamente il magnate delle auto abbia salvato la sua azienda, che era il punto di partenza del film, lasciando tutto quasi in sospeso, avvolto da un’insolita freddezza che mal si amalgama con il rosso Ferrari.

 
 
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