Vincere il timore di Sotto il vulcano

Percorso letterario di avvicinamento al romanzo di Malcolm Lowry

1 Ottobre 2023

Se vedo qualcuno che si sporge,
offro la mano per non farlo cadere,
e mentre lo tengo gli chiedo cosa vede.
Sono un vigliacco:
io guardo l’abisso con gli occhi degli altri.
da «L’arte di legare le persone» di Paolo Milone

Non so se sono un vigliacco, o se sono stato solo fortunato, però anch’io ho esperito l’abisso soprattutto attraverso l’opera di altri. Le musiche, le poesie, le narrazioni che indagano le profondità più oscure dell’animo umano hanno da sempre richiamato la mia attenzione, spesso seducendomi. Continuano a farlo.
Tuttavia non riesco a riconoscere quegli abissi così profondi nel mio animo. Sono un inquieto calmo, senza eccessi, ho turbamenti regolari, senza picchi. Mi piace pensare che questo contenimento delle perturbazioni sia derivato dall’aver assimilato e interiorizzato certi abissi attraverso le indagini interiori di altri, assumendoli gradualmente si sono sedimentati un poco alla volta. Nell’arte che da sempre prediligo, ovvero la musica, ad esempio quella dei Cure, per arrivare agli abissi di Pornography prima sono passato per le dolci inquietudini di Seventeen Seconds e poi per le sedate e lente discese di Faith. Nella parola scritta tendo a seguire lo stesso metodo e temporeggio, mi avvicino con cautela ad alcune delle opere considerate “le più maledette”, magari cercando di prendere confidenza con queste attraverso dei saggi o delle “creature simili”. Prendiamone una a caso: “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry, un libro che tengo da anni sopra il comodino e che ancora non ho trovato la forza d'animo per affrontarlo. Ci vuole sobrietà e tanto fegato per non rischiare di trovarsi imbrigliati negli abissi della mente di un alcolista. Voglio allenarmi bene prima di affrontarlo.

Ho cominciato la preparazione riprendendo in mano il Deleuze di “Logica del senso”. Nonostante sia a tratti impenetrabile, la scrittura del filosofo francese ha una musicalità ammaliante che mi ipnotizza, come ascoltare certi dischi della Mille Plateaux, ostici ma suadenti. Un’ottima palestra, soprattutto per i passaggi sulla scrittura, sull'alcolismo, su Fitzgerald:

«(...) l'alcolizzato non vive nulla all'imperfetto o al futuro, ha soltanto il passato prossimo; ma un passato prossimo molto speciale. Con la sua ebrezza compone un passato immaginario, come se la dolcezza del participio passato venisse a combinarsi con la durezza dell'ausiliare presente: ho amato, ho fatto, ho visto. Ecco ciò che esprime la copulazione dei due momenti, il modo in cui l'alcolizzato sente l'uno nell'altro godendo di un'onnipotenza maniaca. Il passato prossimo qui non esprime affatto una distanza o un compimento. Il momento presente è quello del verbo avere, mentre tutto l'essere è passato nell'altro momento simultaneo, nel momento della partecipazione, dell'identificazione del participio (...). Quindi l'indurimento del presente ha completamente mutato senso, nella sua durezza è diventato senza presa e scolorito (...) Si direbbe che il passato prossimo, ma anche il passato di identificazioni che in esso si è costituito, e infine il passato sobrio che forniva una materia, tutto questo sia fuggito ad ali spiegate, tutto questo è parimenti lontano, mantenuto a distanza da una espansione generalizzata di questo presente scolorito, dalla nuova rigidità di questo nuovo presente. (...) L'indurimento del presente (io ho) si trova ora in rapporto con un effetto di fuga del passato (bevuto). Tutto culmina in un has been. Questo effetto di fuga del passato, questa perdita dell'oggetto in tutti i sensi, costituisce l'aspetto depressivo dell'alcolismo. E tale effetto di fuga è forse ciò che fa la maggiore forza dell'opera di Fitzgerald, ciò che egli ha più profondamente espresso.»

Recentemente mi è venuto in soccorso anche l’ultimo romanzo di Marco Rossari, che tra l’altro è il traduttore della nuova edizione del libro di Malcolm Lowry per Feltrinelli. Si intitola “L’ombra del vulcano” (Einaudi) ed è ambientato in un’estate torrida e alcolica, dopo la fine di un grande amore. Mentre intorno al protagonista Milano si svuota, egli sta combattendo (traducendo) con un romanzo esplosivo e maledetto: proprio "Sotto il vulcano". Spesso il centro della scena è il Baracchino, un bar della periferia, dove si ritrova con un amico becchino, conosciuto all’epoca dell’università. All’epoca “Sotto il vulcano” era già uno dei suoi libri preferiti, tanto da soprannominare l’amico Piccolo Console.
Mi è sembrato un libro perfetto per capire cosa può capitare dopo una lettura profonda di Malcolm Lowry. Un'immedesimazione con l'autore come solo quella di un traduttore può essere:

Piccolo Console ha sempre creduto ciecamente in me ed è rimasto affascinato dal Vulcano soprattutto perché una sua ex l’aveva letto.
– È quello dell’amore disperato, no? Quello della montagna.
– Quello del vulcano.
– Del vulcano, sì. Un libro difficile.
– Parecchio.
– Ti vedo provato, infatti.
Sono rimasto in silenzio.
– Be’? – ha continuato lui. – Di che parla?
Ho fatto il sospiro di prammatica
– È una storia d’amore. Ambientato in una sola giornata. Tipo l’Ulisse.
Piccolo Console ha buttato giù un gran sorso.
– Una sola giornata di vita e di morte. Il 2 novembre, – ho aggiunto.
– Che anno?
– 1938, quindi poco prima della guerra. Comunque siamo in Messico, nel giorno dei morti. Secondo la tradizione è la festa in cui i morti tornano dall’aldilà per ricongiungersi con i loro affetti.
– Sì, ho visto il film della Pixar.
Mi sono trattenuto.
– Esatto. Uomini e donne portano offerte al cimitero
– E nel libro che succede?
– Niente.
– Bene.
Altro sorsone.


Durante Estratto, un prezioso festival letterario organizzato dalla libreria indipendente Raggiungibile di San Donà di Piave e dopo la presentazione di “L’ombra del vulcano” ho avuto modo di parlare brevemente con Marco Rossari del suo bellissimo libro e gli ho inoltre espresso un timore: «ho tentato e avrei voluto tanto leggere “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry ma, non so bene il motivo, ancora non sono riuscito». La sua risposta è stata: «Leggilo assolutamente, se superi la prima metà dopo è tutta discesa, una discesa negli inferi della mente di un alcolista, ma pur sempre una discesa.»
Come un flash mi tornato alla mente un passaggio di «L’arte di legare le persone» di Paolo Milone (Einaudi), opera letteraria sulla malattia mentale, una lettura talmente inusuale e poetica che mi si è fissata nella memoria:

I depressi usano l’indicativo passato:
io ho sbagliato, io non sono riuscito…
oppure il presente ma con un profondo legame col passato:
io sono colpevole, io sono fallito.
Gli euforici usano l’imperativo: vieni, fai, compra
e usano il futuro: festeggeremo, conquisteremo, ci vedremo.
Gli schizofrenici sbagliano tutto: dicono io sono invece di io ero, io sarò, io sarei, se io fossi.
I caratteriali, sempre all’imperativo: scrivi, dammi, ascoltami, ubbidisci.
I nevrotici sono persone deliziose che usano il condizionale: potrei, sarebbe così gentile…


Perché mi sono tornate in mente queste parole?
Semplice, nella pur breve discussione con Marco Rossari mi sono sentito un lettore tra il depresso e il nevrotico mentre la sua risposta di è stata convinta, di un fan euforico. Questa insolita presa di coscienza forse mi dice che sono finalmente pronto a vincere Il timore e affrontare “Sotto il vulcano”.

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Bibliografia:

- Malcolm Lowry: Sotto il vulcano (Feltrinelli) traduzione di Marco Rossari

- Gilles Deleuze: Logica del senso (Feltrinelli) traduzione di M. De Stefanis

Marco Rossari: L'ombra del vulcano (Einaudi)

Paolo Milone: L'arte di legare le persone (Einaudi)

 
 

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