Home Festival, seconda edizione

Home Fest - Seconda serata

Home Festival, Treviso - 01 settembre 2011

2 Settembre 2011

Non so come sia partita, esattamente, la seconda edizione dell’Home festival; mi sono catapultata direttamente al secondo giorno. E direi, mi è parsa partire con squisito stile. Zona doganale di Treviso, grande birrone alla mano, e gran bel tramonto fragoloso alle spalle.
Due parole sull’Home? Piccola, rumorosa, asfaltata kermesse partita  il 31 agosto, che si protrarrà per cinque giorni ad ingresso gratuito, passando per oltre 30 concerti, un paio di giganteschi gommoni su cui far saltare i bimbi, almeno tre palchi, di cui uno parrebbe un pullmino itinerante, birre consequenzialmente costosissime, e una valangata di hipsters che non capisco da dove son spuntati fuori tutti insieme – tutti in un colpo. Quello che nel finire della scorsa estate fu un weekend, oggi si trasforma in un interessante susseguirsi di gruppi croccanti o, in ogni caso, degni di un ascolto, fino a domenica  4 settembre. Nonostante in questo solo weekend succeda di tutto, ovunque (Infart a Bassano, tanto per citare qualcos’altro di appetitoso), vale la pena facciate almeno un saltino anche qui.
La seconda giornata per l'appunto: fresca e chiara, si entra quasi rotolando, forse è l’ora, non troppo tardiva; lo staff trasmette un amabile benvenuto, l’afa se n’è andata, qua e là qualcuno sta facendo i propri soundcheck, riesco pure a rubare qualche sguardo di prova. Calma piatta, tranquillità palpabile fino all’ultimo stand. Tra una caramella e l’altra, in mezzo alle nostre chiacchere, s’avviano i Dolce Vitae. Non saprei dire molto di più delle mie impressioni, sono alquanto sconosciuti. E le mie impressioni comunque penzolano tra l’indifferenza e la passività per questi cinque omini dai calzoni a vita alta, le chitarre indossate alla maniera dei nostri nonni, e il suono già più volte sentito.  Posso tornare a sgranocchiare schifezze.
Volgendo lo sguardo un’oretta più in là, un po’ più a destra, su di un altro palco, si sente la voce di un esile Fabio De Min; voce, piano e chitarra dei Non Voglio Che Clara, una cosa così emaciata che mi par giusto chiedermi da dove gli esca tutta quella ruggente forza di generare questo tale casino. Perché è così: qui c’è una stordita dolcezza che ci viene letteralmente urlata addosso. Esordiscono nel 2004, parlottando in senso lato delle relazioni amorose, di sentimenti, o del “mestiere di vivere”.  Il loro nome stesso è ossessivo, pretende Clara e nessun’altra, o avrebbe preteso che Clara non si sposasse, da qui il risvolto sonoro non può che finire in un qualcosa di piacevolmente ascoltabile, ma anche piuttosto sofferto, decisamente cupo. Mi ammazza a prenderlo troppo sul serio. Un anno fa è uscito Dei Cani, tra la follia e il romanticismo, tra l’opera poetica, le citazioni e la perfezione dei testi, potrei riassumervelo in un loro verso: ognuno parli per se, di quello che rimane, dell'amore. C’è chi scrive assai bene di loro, a me suonano a pelle come un pochino autentici. Incuriositevi.
La vera, stratosferica, sorpresa arriva nel main stage, al primo buio si potrebbe dire. Un nome lunghissimo, Bud Spencer Blues Explosion, un suono sporco e insieme compatto, contagioso e potentissimo, sparato addosso a un pubblico che poco a poco si fa sempre più gremito, e sempre più coinvolto, sempre più rumoroso e danzante, fino a gettarsi in saltelli e poghi, nella più totale eterogeneità umana, giovanile o adulta. Un caos di categorie. Un’emozione che fa sanguinare le orecchie, scuotere le spalle, penzolare la testa, e muovere i piedini. E sto parlando di due soli ragazzi, Cesare Petulicchio (batteria, voce, altro grazioso corpicino esile con un’infinita potenza) e Adriano Viterbini (chitarra, voce, basso, pianoforte, sintetizzatore, ..qualunque roba a seconda della collaborazione o del gruppo in cui suona), vincitori nel 2007 del “Primo Maggio Tutto L’Anno”; da che esistono sembrano essere sempre in tour, e sempre in una febbrile continua produzione artistica, e grazie a Dio. Calpestando l’Italia ma anche svariate zone degli Stati Uniti, sporcandosi del Delta, ma anche del Mississippi, per poi toccare Londra, New York e Seattle, hanno messo insieme un duo letteralmente esplosivo, che miscela blues, rock classico ma anche rock dannatamente cattivo. E il prossimo lavoro, Do It, uscirà il 4 novembre. Attesissimo per quanto mi riguarda. Indiscutibile abilità e un boato raggiunto nel bel mezzo di una geniale interpretazione di un pezzo decisamente noto, Hey Boy Hey Girl. Pochissimo cantato, enorme spazio ad un suono efficientissimo. Impossibile restare fermi, impossibile non uscirne un pelo allibiti, improbabile non segnarsi immediatamente la prossima data, o anche tutte quelle che verranno dopo di essa.
Appena il tempo di ripigliarmi, ho già la memoria piena, ho ancora sete, il tempo di qualche chiacchera e il palco si riempie di un fastidiosissimo verde, pregno, denso.  Riaquisirà colori solo quando me ne andrò. Nel frattempo Giuliano Palma saltella qua e là tra rosa dub, uno sbattutissimo blu, un reggae un po’ verde e giallo e il resto d’influenze che appartengono ai nuovi Casino Royale. Dopo la pausa a ridosso dei primi Duemila, il gruppo si ricompatta nella riscoperta dell’amico web e si rigetta in un tour tra il primaverile e l’estivo. L’affetto di un fedele pubblico li mobilita verso il generarsi di nuovi lavori, e tutto ricomincia. Nuove date, nuovo album: Io e La Mia Ombra, ondate di suoni che inducono a chiudere per un attimo gli occhi penetrando nell’individualismo collettivo, la solitudine e la noia, le generiche nevrosi che affliggono l’animale sociale cittadino, uomo o donna che sia. Canzoni che mi sbattono in faccia il potenziale della notte e la mia velocissima gioventù, senza troppo futuro. Brividi. Io torno, a domani.

Annalisa Bano per Sherwood Livereport

 
 

Links utili:
www.homerockbar.com

 
 

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  • Home festival 1/09/2011 - Foto di Annalisa Bano
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