Home Festival, seconda edizione

Home Fest - Terza serata

Home Festival, Treviso - 02 settembre 2011

3 Settembre 2011

Giornata insolita e ricca, rapida ed eterna, sfacciatamente calorosa e tremendamente umana: quota terzo giorno in dogana. Si parcheggia sempre più distante, l’Home è sempre più brulicante di stimoli e gente danzante, contraddittorio negli accostamenti di generi musicali, ma rispondente ad un unico amabile scopo: attrarre corpi da far inebriare tra balli, chiacchiere, beveroni e magari sigarette.

Vi prego di seguirmi di qualche decennio indietro nel tempo, giusto cinque o sei, non troppi. Catapultatevi a occhi chiusi; chiusi eh, perché sta per tramontare il sole ma voi state correndo al contrario, quindi proteggeteli dal bagliore della luce che vi verrà sparata addosso, e aprite quelle orecchie.
7 gennaio 1948: viene avvistato un corpo rosso roteare sulla città di Maysville, nel Kentucky. Il venticinquenne pilota della guardia aerea nazionale della zona, tale Captain Thomas Mantell, morirà non molto dopo a seguito di un tragico inseguimento del sovra citato UFO. Ma perché poi si dovrebbe inseguire un UFO?
La zona doganale di Treviso sta decollando di nuovo verso lo spazio o forse sta solo a sentire il saluto alla terra di questi tre giovani, che dallo sfortunato capitano prendono il nome: Captain Mantell, per l'appunto. Il trio è dirottato dalla voce di Tommaso Mantelli (Oh! Un’assonanza!) ed apre la scena con un’elettronica che un po’ allegramente tende la mano agli anni Ottanta, tra new-wave e, suvvia, non facciamoci mancare pure un pelo di punk e sana cattiveria. Ad esser sinceri il terzetto è uno spasso. Rigorosamente in tuta spaziale, occhialoni tenebra impenetrabile, sorrisoni e tanta stima. Non può che andare degenerando, fortunatamente.

A passetti silenziosi tornate ai duemila, facciamo intorno al 2007. Immaginatevi nella vostra cameretta, o in ufficio, o dove vi pare, assicuratevi di accedere a My Space.  Assicuratevi di poter perdere un po’ di tempo tra un blog e l’altro; vi capita per caso di leggerne un paio di veramente geniali. Il passaparola nello spazio web sapete bene quant’è micidiale, e di sicuro vi ricorderete la maniera in cui se n’è uscito Il Genio. Tra una chiacchierata, un post, un commentino che vorrebbe consigliare, una condivisione di brani sul vostro profilo, la geniale scoperta di ritorno dal lavoro. E’ così che nasce la fama del duo milanese, e chi di voi si è scordato di pop porno? Spero nessuno. Qui alle prime note uscite dalle dita di Gianluca De Rubertis (voce, chitarra e tastiera, ex componente degli Studiodavoli), la folla si riaccende, cantando e sculettando la nota, maliziosissima, hit di qualche anno fa. Alessandra Contini, seducente voce un po’ infantile e abile basso, si lascia scappare una risatina “ah aaan, eccoli, quelli del pop porno”. Il genio è un canto e un suono retrò, raffinato ed elegante, come il bianco abito indossato da lei. Ma è al tempo stesso piccante e ironico, un po’ coccolo. Come quando si accosta la birra alle ciambelle, insomma.

Dopo di loro ci s’incomincia a muovere sul serio. Si viene rapiti e catturati da un repentino e drastico cambio di stile musicale, dalla frangetta con rossetto a una calca saltellante di dreads, ricci scomposti e urla indemoniate. Se finora si poteva parlare di divertimento, con i Mellowmood si alzano i toni e le movenze, si scompongono i corpi, la folla si eleva in un movimento e in un canto che si fonde letteralmente a quello del giovanissimo Jacob Garzia. Ad ascoltarli il giorno prima non si direbbe, sembrerebbe generico se pur graffiante reggae, ma dal vivo sono un esplosione che finisce nel contagio generale. I sette partono da Pordenone e sono attivi dal 2005, da subito gettati sul palco, si esibiscono ininterrottamente tra Italia e Slovenia.  Nel 2009 vincono l’Italian Reggae Contest al Rototom SunSplash e di lì in poi parte un tour che è giunto un po’ in tutti i cantoni della penisola.

Non si ripiglia più fiato, perché volgiamo lo sguardo alle frenetiche danze di Giuliano Palma, con i suoi affettuosi Bluebeaters. E qui si fanno altri saltelli indietro, annata 1993: il suddetto cantante dei Casino Royale incontra i furono Soledad Brothers, in una calda estate e sogni di glorie e one night bands. I Bluebeaters si affermeranno davvero sul finire degli anni Novanta, e da un decennio ormai portano sulle piazze una miscela di ska e rock steady di rivisitati successi, da Messico e Nuvole a Tutta Mia La Città e altre frivole storie. Sarà che è venerdì, ma ormai diventa difficile muoversi, c’è chiunque, e ballano tutti, chi non balla, beve. Chi non beve, sorride. Una ressa leggiadra. Pubblico adorato, fa prolungare lo spettacolo e lo fa concludere con balletti insulsi e strofe ripetute all’infinito, sembra di assistere al saluto eterno di due amanti che non ne vogliono sapere di separarsi.

Si chiude in bellezza, tutti stretti agli Skaj, tutti a venezia, tutti a saltellare su di una folle euforia, dannatamente spiritosa e coinvolgente. Marco Furio Furieri scuote i suoi lunghissimi dreads, e conduce bimbi, adulti, amanti, dispersi e disperati alla più sana perdita di controllo attraverso quella che lui definisce una musica al 98% Jazz e di resto ska. Da che ne ho memoria questo allegro gruppetto è sempre in ardente movimento qua e là, dal piccolo bar in mezzo a un campo di Venezia, al Caterpillar di Radio2, passando per piazze, centri sociali, localacci, e trasmissioni televisive. Si può dire di averli visti e sentiti un po’ ovunque, ma sempre con lo stesso risultato: una gran voglia di ridere sullo stretto gergo veneziano unita a un’irresistibile bisogno di pigliarsi per mano e danzare.

Annalisa Bano per Sherwood Live report

 
 

www.homerockbar.com

 
 

    foto

  • Home festival 2/09/2011 - Foto di Annalisa Bano
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